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Domenica 30/06/2002 - Mattino di Padova - Cristina Griggio
La veglia di Montegrotto. Duomo gremito per ricordare il sacrificio di Falcone, Borsellino e delle loro scorte
«Abbandonati dallo Stato»
Parlano le mamme e le vedove dei delitti di mafia | |  | Da sinistra Salvatore Catalano, Michela Buscemi, Emilia Incandela, don Damiano Fortin e Viviana Matrangola | MONTEGROTTO. Viviana Matrangola, Salvatore Catalano, Emilia Incandela Catalano, Michela Buscemi, tutti familiari di vittime di famia che hannoo scelto di combattere l'illegalità.
«Ero una casalinga. Dopo la morte di mio figlio sono diventata una combattente». Così racconta Emilia Incandela che il 19 luglio 1992 ha appreso della strage di via D'Amelio e della morte del figlio Agostino, caposcorta di Borsellino, attraverso la televisione. Da allora, l'ottantenne Emilia ha intrapreso un instancabile viaggio nelle scuole italiane per spiegare il senso della legalità ai giovani. Dov'era lo Stato nei giorni delle stragi? «Via d'Amelio - precisa il figlio Salvatore -, è un vicolo cieco, facilmente controllabile se si vogliono evitare stragi, ma non era mai stato oggetto di attenzione da parte della polizia. I prefetti sono stati trasferiti dopo il 19 luglio, quando oramai era avvenuta la tragedia». Che cosa è cambiato da allora? «Fino al 23 maggio, giorno dell'uccisione di Falcone e della sua scorta, la mafia aveva agito indisturbata. Poi c'è stata la mobilitazione ma l'interesse si è presto affievolito. Noi oggi siamo qui per continuare la lotta e diffondere la cultura della legalità». Un'opinione condivisa da Viviana Matrangola, figlia di Renata Fonte, assessore repubblicano assassinata a Nardò, in Puglia, nel 1984 perché si opponeva ad alcune speculazioni edilizie.
«La mamma è stata riconosciuta vittima della mafia solo nel febbraio del 2002, dopo 18 anni. Era il primo delitto di mafia nel Salento, e ha colpito una donna, quindi c'era timore di parlarne perché in Puglia non esiste una cultura della lotta alla mafia come in Sicilia». Nel quindicesimo anniversario della sua morte è stata fondata l'Associazione Donne Insieme per i diritti delle donne e dei minori, gruppo intitolato a Renata Fonte. Viviana fa parte del coordinamento provinciale di «Libera».
Come ha scelto di lottare invece Michela Buscemi, sorella di Salvatore e Rodolfo, assassinati a Palermo. Salvatore, disoccupato con 4 figli, era stato avviato al contrabbando di sigarette senza il consenso della mafia. Fu ucciso il 5 aprile 1976. Rodolfo decise di scoprire gli assassini del fratello, nonostante il mafioso Vincenzo Sinagra avesse intimato di sospendere le ricerche. Un mese dopo l'avvertimento da parte di Sinagra, Rodolfo e il cognato Matteo, di soli 18 anni, furono intrappolati con una falsa offerta di lavoro e di loro non rimasero tracce. Solo un anno e mezzo dopo, il superpentito Sinagra rivelò che erano stati uccisi e buttati in fondo al mare. La moglie di Rodolfo, Rosetta, si lasciò morire di dolore dopo il parto del secondo bambino. Da oltre 16 anni, dopo che la mafia l'ha costretta a ritirarsi dal processo d'appello, Michela combatte una guerra solitaria, lontana dalla famiglia, che non condivide la sua lotta per timore di ritorsioni mafiose. Sola, senza neppure l'aiuto dei mass media, «che non mi hanno mai sostenuta dopo il rumore iniziale». | |
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